03 mar 2022

Donne e lavoro: a che punto siamo?

In Italia solo il 30% di chi ricopre posizioni di leadership è donna (Women in Business, 2022). Tra queste, 1979 Alumnae Bocconi. Una percentuale cresciuta di poco rispetto all’anno precedente e che, nella lettura complessiva, mostra che ci vorrebbe più di un secolo per chiudere il gap. Quali sono le cause e come si può invertire il trend?

Nonostante il 2022 abbia visto una decrescita a livello globale (-2% di CEO donne), lo scorso anno in Italia le posizioni di CEO occupate dalle donne sono aumentate dal 18% al 20%. Tuttavia, il gap rimane comunque alto: l’Italia è ultima nella graduatoria europea, con l’occupazione femminile al 49/50% (circa 13 punti sotto la media UE – al 62%). Il nostro Paese si colloca anche al 63imo posto del Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum, con un pay-gap che si attesta intorno al 5,6% secondo il WEF. 

Ne abbiamo parlato con due nostri Alumni, leader nel settore HR: Paola Boromei, Executive Vice President Human Resources, Organization & PFM di Snam e Massimo Picca, Senior Client Partner in Chaberton Partners.

Paola è una di queste 1979 Alumnae. Quarantacinque anni, mamma di due figlie, ed eletta miglior giovane manager d’Italia 2020 da Federmanager, è Executive VP di Snam, azienda di infrastrutture energetiche oggi impegnata nel favorire la transizione energetica ma anche nel promuovere la parità di genere e l’inclusione femminile in ambito STEM. Da anni ai vertici di importanti aziende, Paola in Snam mira allo sviluppo di iniziative per incentivare l’inclusion e il gender balance, per “preparare” le professionalità executive ad acquisire l’esperienza e le skill per rimanere competitivi.  

La questione del gender gap nel mercato del lavoro è cruciale e non a caso ne indaghiamo i risvolti con una donna e un uomo.
Mi piace pensare che tra dieci anni questo non sarà più un tema”, dice Massimo Picca, cacciatore di teste di lungo corso e ora Senior Client Partner in Chaberton Partners, azienda internazionale di “capitale umano”, dove si occupa di ricerche top level. “È ancora un retaggio culturale, ma con i passaggi generazionali, la sensibilizzazione e le azioni concrete da parte delle aziende dovrebbe risolversi in maniera fisiologica. Oggi abbiamo il terreno ideale per la leadership al femminile e uno dei tratti fondamentali è l’autenticità: si stanno affermando a livello sociale modelli di leadership femminile del tutto nuovi: basti pensare che solo negli anni Ottanta l’unica donna a livello internazionale che “parlava” agli uomini sul loro stesso piano era la Thatcher, e non a caso era uno stile molto maschile”.
E se i macro-trend faciliteranno il passaggio, dal suo osservatorio Picca vede già un cambiamento netto nelle ricerche. “Ho seguito migliaia di progetti e solo una volta mi sono sentito dire: preferirei un uomo. La realtà è che molto più spesso dicono preferirei una donna”.

Il nodo è a metà strada
La causa di questa carenza di donne al vertice va ricercata a “metà” strada della loro carriera professionale. 
Le donne dai 30 ai 45 sono state soggette a una strozzatura di carriera. Poche ce la facevano, ed erano le vestali del lavoro. E ora che ai livelli apicali c’è molta richiesta, emerge che in quel segmento ce ne sono poche, e ne abbiamo poche perché non abbiamo permesso la formazione delle donne in maniera organica. È quel decennio che va tutelato”, spiega Picca.
La palla passa dunque alle Risorse Umane delle aziende, e l’esempio di Paola Boromei è lampante. 

Il ruolo delle HR
La strategia su cui si basa Paola è quella del purpose, del wellbeing e della people centricity, che pone al centro, in modo equo, tutte le persone e il loro benessere: La carriera in un’azienda è un contratto tra le parti che deve prevedere fiducia da entrambi i lati, e deve consentire anche alle persone di puntare al loro sviluppo, per trovare il proprio purpose e sentirsi bene. I responsabili delle HR devono avere quindi come obiettivo la trasparenza e la costruzione di un rapporto fiduciario con le persone, dando a ogni nuova sfida una prospettiva di lungo termine e quindi collocando ogni passaggio di carriera in una parabola più ampia, conciliabile sempre anche con la propria vita personale. In termini di inclusion, significa garantire pari opportunità a tutti, promuovendo la formazione e la crescita, e tutelando le esigenze e le necessità di ciascuno, valorizzando i talenti per creare armonia. Fairness – ovvero equità – in un’azienda significa questo, fare la cosa giusta, spiega Paola, che conferma il problema della strozzatura di carriera delle donne.

Che la fascia più critica sia quella individuata da Picca, lo conferma anche Boromei: “Il problema non va sottovalutato: mancano donne nel “middle management”, soprattutto tra i 30 e i 34 anni. In questa fascia c’è una disoccupazione femminile altissima. Basti pensare negli ultimi anni l’80% delle dimissioni è legato a motivazioni di difficoltà nella conciliazione tra vita privata e professionale”, spiega. “A tal proposito infatti, e per contrastare questo trend, insieme a Valore D, nell’ambito del progetto Generazione D, abbiamo presentato proprio in questi giorni un paper divulgativo che identifica le best practice in ambito di genitorialità condivisa e lavoro di cura, e che vede 25 realtà coinvolte con impegni concreti per lavorare su azioni specifiche volte a promuovere un cambiamento culturale e una maggiore uguaglianza di genere, partendo dalle aziende.”  
Picca sottolinea anche come la funzione HR abbia molto spesso donne al vertice – e lo motiva: “Il leader vede nelle HR una figura chiave per creare cultura sulla diversity. E quando pensi a inclusion, empatia, autenticità, si pensa a una donna. Le HR in un’azienda diventano quindi i most trusted advisor: il leader è molto solo rispetto alla sua prima linea, e le HR in questo senso gli fanno da specchio”, prosegue Picca.

Le donne e le discipline STEM
Dobbiamo attivarci con iniziative concrete per favorire la partecipazione femminile e rispondere ai “gap” ancora troppo presenti. In Snam offriamo sostegno e formazione per promuovere una trasformazione culturale”, spiega Boromei, che non a caso lavora in un’azienda che opera in un settore – l’energetico – storicamente caratterizzato da una forte presenza maschile. Un settore che rientra tra quelli con forte necessità di discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), in cui le donne laureate sono sotto il 16%. 
Un dato impressionante è che solo il 5% delle ragazze di 16 anni in Italia vogliono studiare materie STEM. E questo deriva da una percezione: solo il 40% delle ragazze in Italia pensa che avrebbe lo stesso voto di un compagno maschio in matematica. E questa percezione la dobbiamo ribaltare”, continua Boromei.
Tuttavia, Paola nella crisi individua anche opportunità di cambiamento. 
Lavorare con le scuole, sin dalle medie, è importantissimo. L’istruzione aiuta le ragazze a comprendere le opportunità di questi lavori, sfatando il mito che sono solo per uomini. “Noi abbiamo iniziative di job shadowing e di role modelling, che coinvolge 70 delle nostre persone. Le nostre assunzioni femminili stanno crescendo e l’obiettivo è di arrivare in futuro alla parità, ma per farlo occorre promuovere un vero e proprio cambiamento culturale. In collaborazione con Fondazione Snam, ci sono nove borse di studio con Politecnici di Milano e Bari per sostenere ragazze nello studio di queste discipline, e con la campagna internazionale Inspiring Girls abbiamo l’obiettivo di rafforzare la consapevolezza del proprio talento tra ragazze”, conclude Paola. 


Quando davvero si potrà parlare di parità di genere?
Quando le donne saranno libere di sviluppare le loro potenzialità anche con scelte personali. Molte dicono orgogliosamente di aver fatto solo tre settimane di maternità, che ancora troppo spesso è vista come scendere dal treno. 
E se invece fosse il treno a volerle fare salire a prescindere dalle scelte personali? L’esempio di Paola, assunta dieci anni fa, mentre era in gravidanza, fa ben sperare.
È in questa direzione che dobbiamo andare, certo”, continua Picca. “Ma per viaggiare in modo sicuro e per rendere l’onda lunga sostenibile va affrontato anche il tema della dual career, ossia quando entrambe le persone della famiglia fanno carriera. Ancora oggi ci sono casi estremamente sporadici in cui va avanti la donna”, conclude Picca.

A monte, dunque, servono tre elementi chiave, su cui Paola e Massimo concordano: trasparenza, equità e politiche mirate alla progressione di carriera, mettendo sempre le persone al centro.