09 apr 2020

Stiamo davvero lavorando agilmente

A causa dell’emergenza sanitaria, stiamo vivendo la più grande sperimentazione di lavoro agile, e l’epidemia è un acceleratore della pratica.Ma quello che stiamo vivendo è davvero lavoro agile? In parte sì, anche se la forzosità del contesto lo rende psicologicamente più complesso.

Lavoro da casa? Sì, ma non solo.
Prima dell’emergenza sanitaria lo smartworking era – almeno in Italia – uno scenario ancora per pochi, con poche aziende che lo applicavano (e a pochi dipendenti).

Simona Cuomo e Zenia Simonello, di SDA Bocconi School of Management, supportate dalle testimonianze di top manager, aprono in questo webinar MINE un interessante dibattito sullo strumento.

Tuttavia, anche se ora lo smartworking viene vissuto come “forzoso” a causa degli eventi, in futuro può diventare davvero una nuova possibilità di organizzazione del lavoro, soprattutto nelle imprese italiane, ancora riluttanti ad adottarlo. Ora, grazie al decreto legge, è diventata una condizione indispensabile, e le aziende sono quasi costrette ad adottarlo, tanto che da 570.000 lavoratori, si è passati a più di un 1.300.000, con stime fino a 1.800.000 persone che attualmente utilizzano questa modalità.

 

Un fattore culturale.

 


Ma perché il lavoro agile ha incontrato sinora così tanta resistenza?
Innanzitutto è un fattore culturale: avere il lavoratore “sott’occhio” dà l’idea che sia più produttivo, e questo dà la misura del contesto sociale di riferimento, in cui presenza e controllo sono dominanti.
Ci sono, infatti, ancora molti vincoli delle aziende e dei manager di filiera, che tendono comunque a controllare tramite paletti, come il non poter lavorare il lunedì e il venerdì o l’obbligo di reperibilità dalle 9 alle 18 che, di fatto, è in contrasto con il concetto di smartworking.

Quando invece la flessibilità spazio-temporale e i benefici per impresa, individuo, ambiente e sviluppo potrebbero essere la chiave di volta per una reciproca soddisfazione azienda-lavoratore.

 

La ricerca.

 


Da una ricerca su mille articoli pubblicati dal 2014 in poi, emerge che il lavoro agile ha iniziato a prendere piede solo nel 2017, l’anno in cui viene promulgata la legge n°81.
La stampa, da sempre forte sostenitrice, inizia a parlarne con termini particolari: il 30% degli articoli analizzati accostano infatti l’etichetta di smartworking a parole come miracolo, rivoluzione, cambiamento, mentre sono davvero pochissimi gli articoli critici nei confronti della possibilità.

 

La fiducia e i rischi.


 

Il lavoro agile si fonda sulla fiducia reciproca lavoratore-azienda/manager, ma anche sull’autonomia e la valorizzazione del dipendente, che diventa così imprenditore di sé stesso, gestendo i suoi tempi per portare a casa il risultato. Ma l’altro lato della medaglia è che diventare workaholic è più facile di quanto si pensi, e questa situazione d’emergenza lo conferma: in smartworking si lavora molto di più, quasi come se ci fosse un’assenza di confini. Il dirittoalla disconnessione è messo a repentaglio e, in linea generale, la perdita dei contatti e della dimensione umana, oltre a quello di essere spersonalizzati e sostituiti col nostro “risultato”, si alza.
Ma essere visibili equivale davvero a lavoratori più performanti? Il webinar analizza anche il punto dei lavoratori part-time, erroneamente considerati meno performanti e degni di minore stima.



Le strategie per il futuro.



La grande prova generale che stiamo vivendo fornirà alle aziende materiale prezioso per implementare il lavoro agile. Ma, se per alcuneaziende questa emergenza è stata un’onda d’urto da gestire con rapidità, il “dopo” potrà essere gestito molto meglio: mappando le strutture, gli strumenti e il controllo.
Sarà d’obbligo, tuttavia, accompagnare l’ambiente culturale e aiutarlo nel sorpassare i vecchi retaggi, con un cambio di vedute radicale.

 

Qui il video integrale del webinar MINE