14 set 2020

Il futuro della cultura e del teatro

Teatri, musei e cinema hanno riaperto. Ma a quali condizioni? Per il settore culturale — e in particolare per il teatro — sono stati mesi difficili. Come ripartire?

 

 

23 febbraio.

Viene firmato il Dpcm che vieta le manifestazioni al chiuso: per il comparto arte e spettacolo è l’inizio del tunnel. 

Se da un lato l’estate ha fatto ripartire – pur parzialmente – alcune realtà dando un filo di ossigeno al settore (con spettacoli all’aperto o riconversioni, come film, teatro e biblioteche in streaming, libri in ebook e via dicendo, che sono un tampone ma non una soluzione), i mesi di gelo hanno duramente messo alla prova il futuro del settore.

 

 

Carmina non dant panem?

Si dice che con la cultura non si mangia. Niente di più falso, non fosse altro che l’indotto del settore culturale rappresenta il quasi il 17% del nostro PIL nazionale. Nei 27 Paesi Ue, inoltre, la filiera culturale rappresenta il 3,7% dell’occupazione totale, con operatori molto diversi fra loro e con regole e leggi altrettanto diverse.

 

 

Ma la cultura è indispensabile?

Questa è stata la domanda – amara – che ci si è posti per lunghi mesi, tra le polemiche sulle dichiarazioni del Premier Conte, che ha definito i lavoratori dello spettacolo come “quelli che ci fanno divertire”. 

    

“Razionalmente, invece, è indispensabile”, dice Severino Salvemini, Professore ordinario di Organizzazione aziendale in Bocconi e fondatore del CLEACC, il Corso di laurea in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione. “Questo virus ha riorientato l’esistenza, e il tema culturale è un tema centrale di consumo di alcuni prodotti e servizi. Se siamo davvero convinti che nulla sarà più come prima, se vogliamo illuderci di gestire il mondo in modo sostenibile e non guidato dal profitto, allora si deve ricominciare proprio dalla cultura”, continua Salvemini. 

 

“Non ci sono soluzioni a cui aggrapparsi; l’operatore culturale si fa ripagare dallo Stato, e si torna al paradigma assistenzialista della cultura dal quale ci eravamo affrancati. Questo va bene in una logica tampone, ma è un quattro passi indietro a dove eravamo arrivati della cultura che sta in piedi da sola, e chi ha un teatro sa che ci vorranno almeno tre anni per rimettere a posto i cocci”, continua Salvemini.

 

 

Ma il teatro sopravviverà?

Nel 1926, nel suo primo manifesto del Theatre Alfred Jarry, Artaud scrive: “Il teatro è la cosa più difficile da salvare al mondo. Un’arte del tutto basata su un potere di illusione, che essa è incapace di suscitare, non ha che da scomparire”.  

 

In Italia, poi, i teatri stanno in piedi in larghissima parte grazie al finanziamento pubblico (FUS), non certo con il botteghino.

Lo spiega bene il direttore del teatro Manzoni di Milano, Alessandro Arnone, nostro Alumnus: “Per un teatro di ospitalità come il Manzoni, categoria che beneficia di contributi pubblici minimi, sono stati sei mesi a fatturato zero. Il paradosso è che ci sono molti teatri, che ricevono contributi pubblici molto consistenti, che grazie all’anticipo straordinario di circa l’80% del contributo dell’anno precedente riusciranno ad uscire dalla crisi molto meglio di prima. I conti sono presto fatti.

 

Come ripartire.

Se si cerca uno spiraglio basandosi solo sul botteghino, la soluzione non esiste.

Si tratta infatti di un business che non sta in piedi strutturalmente e, anche a voler tentare lunghe teniture, la capienza dimezzata annulla tutti gli sforzi, perché se i teatri faticano anche a capienza piena, nessuno si prende il rischio di produrre.

Dal punto di vista finanziario, una mano può arrivare dai Fondi nazionali ed europei, i Fondi strutturali e di Investimenti europei (Sie) della politica regionale.

La nuova agenda europea per la cultura, infatti, già due anni fa aveva identificato la “cultura come cura” tra gli assi prioritari. Ma, a parte i dodici milioni di euro stanziati dal ministro Franceschini solo per i concerti annullati, la filiera è lunga e molti sono rimasti a secco.

 

Anche dal punto di vista logistico la situazione rimane complessa. Continua Arnone: “L'ordinanza attualmente in vigore della Regione Lombardia, peraltro in scadenza il 10 settembre, ci permette di riaprire la sala con l'unico vincolo del distanziamento sociale, il che equivale a circa 420 posti disponibili rispetto agli 840 normalmente utilizzabili”. 

 

Costi, nuovi approcci e nuove regole.

Va da sé che molti spettacoli con 400 persone non si ripagheranno, oltre al fatto che le produzioni con molti attori in scena avranno gli stessi problemi del distanziamento. Andranno pertanto ripensate anche le regie, per esempio limitando al minimo il contatto fra attori. 

Per chi crea i cartelloni, conviene quindi prendere spettacoli a bassissimo costo: monologhi, o con due attori al massimo - il che comunque non significa minore qualità.

Quel che è certo, è che servono regole chiare, certe e più flessibili, ma servono anche creatività e nuovi approcci.

Ma gli spettacoli costeranno di più?

Sì e no. Molti gestori manterranno i prezzi, ragionando su forme di incentivazione come voucher sulla vecchia stagione e sul nuovo abbonamento.

L’importante è ricominciare e soprattutto salvare. In barba ad Artaud.