31 mar 2021

Kaleyra e la borsa di studio in memoria di Simone Fubini

“Era la cosa giusta da fare”, racconta il CEO Dario Calogero, nostro Alumnus, che crede fortemente nell’economia del dono. E ci racconta la storia di Simone, un ingegnere che inventò il primo calcolatore elettronico italiano… ma che scattava le Polaroid al contrario.

Ogni essere umano porta con sé una storia; molte storie restano però nascoste, come restano celate le unicità delle persone. Ma quella di Simone Fubini è una storia davvero speciale, che va raccontata per la bellezza e la profondità della legacy morale che quest’uomo è riuscito a lasciare e che, negli infiniti giri di una vita – e anche dopo la scomparsa – tocca anche Bocconi e le generazioni a venire.
Restituire. È quello che ha deciso di fare Kaleyra grazie al suo CEO Dario Calogero, nostro Alumnus: trasformare la perdita del co-fondatore Simone Fubini in valore condiviso. 

Chi era Simone Fubini

Un pioniere e uno dei protagonisti dell’informatica in Italia, Fubini era parte di quel glorioso gruppo di lavoro di Olivetti che inventò l’Elea 9003, il primo calcolatore elettronico italiano. Ma era anche un imprenditore con gli occhi spalancati sull’innovazione: fondò infatti Projecta e poi, insieme a Dario, Ubiquity – oggi Kaleyra – oggi uno dei maggiori player mondiali del settore CPaaS e unica azienda italiana tecnologica quotata al NYSE (New York Stock Exchange). 
È mancato il 27 marzo 2020, a novant’anni, e oggi la sua azienda lo ricorda con due borse di studio intitolate alla sua memoria. Ne è stato promotore e porta-vessillo Dario Calogero: le borse di studio in nome di Simone Fubini sosterranno studenti in stato di necessità economica iscritti alle Lauree Specialistiche (Master of Science) con un focus su innovazione, data science e management, temi molto cari a Simone e a Kaleyra.

Simone Fubini, uomo e capitano d’impresa
“Era un uomo coltissimo, di un’intelligenza incredibile, e aveva una memoria prodigiosa: poteva, ancora a novant’anni, trovarti un errore in un file Excel di duecento fogli”, ricorda con un sorriso Dario Calogero, che di Simone è stato figlio putativo, collega, socio e amico.
“Mi ha visto nascere, perché lavorava con mio papà in Olivetti alla divisione elettronica e abitavamo nello stesso palazzo, a Milano, in zona Fiera. Abbiamo passato insieme ogni Natale, dalla mia nascita alla sua morte. Io entrai come junior in Olivetti l’anno dopo la sua uscita: lui intanto aveva fondato Projecta, dove io arrivai nel 1993”, continua Dario.
Poi, perché così è la vita, le loro strade professionali hanno preso altre vie, con Dario che vola in PwC e Oracle, finché i ruoli si invertono: Dario ha l’idea di fondare Ubiquity, prepara un business plan e Simone partecipa al progetto, in cui profonde un’energia e una vitalità senza pari, fino alla fine, persino quando era gravemente malato. 

La querelle ingegnere versus economista
“Simone era così ingegnere nel DNA e così rispettoso dello status, che mi presentava come l’ing. Calogero”, ricorda Dario con un sorriso. “Ma d’altra parte faceva parte di quella schiera di ingeneri tecnici che sono diventati sul campo ingegneri gestionali e hanno sviluppato il carattere manageriale a furia di esperienza, tanto che diventò non a caso direttore centrale della FIAT e direttore generale di Olivetti”, prosegue.
Un ingegnere teorico di altissimo livello che progettava calcolatori elettronici, ma che sul lato pratico era incredibilmente maldestro.
“Non era proprio capace: una volta fu ferito da una scheggia di un transistor: lo maneggiava talmente male che lo fece esplodere! Io, che ero di casa, ero spesso da lui per dei lavoretti pratici. Un giorno urtai per errore il giradischi e si staccò il gancetto che tiene fermo il disco. Bé, mi chiamò arrabbiatissimo dicendo che glielo avevo rotto”, racconta ridendo Dario, che si perde nell’amarcord e ci regala l’immagine di un Simone Fubini che scatta una foto al contrario con la Polaroid che gli entra in bocca.
Prosegue Dario: “Quando è mancato, nel marzo 2020, in pieno lockdown, non abbiamo nemmeno potuto piangerlo. Io ero a New York, dove vivo. Ricordo che quando dovevamo quotare Kaleyra in borsa negli USA, gli dissi che dovevo per forza andare a vivere là. Ma lui non voleva: “ma io poi con chi parlo?”, mi disse. Allora gli promisi che una settimana al mese sarei sempre tornato a Milano e così ho fatto. Io oggi sento ancora la sua presenza, ecco perché ho voluto fortemente che la sua memoria venisse tramandata”.

Ricordo sì, ma anche legacy
Kaleyra ha dunque scelto Bocconi per investire sulle nuove generazioni, per dare un segnale concreto del passaggio di testimone, caldeggiato anche dalla vicinanza di Dario alla community degli Alumni.
“Simone si è sempre speso per i giovani, forse perché non aveva figli. Le sue energie affettive andavano tutte lì: teneva incontri di orientamento professionale, era davvero un mentore generosissimo. Io ho raccolto la sua idea: a New York sono mentor nel progetto del Career Advice della Bocconi Alumni Community, ma soprattutto ho pensato che quello che lui aveva dato in vita, andava restituito”, continua Dario, che in accordo con Emilio Hirsch, il nipote di Simone e anch’egli nel CDA di Kaleyra, ha deciso di mantenere viva la memoria dell’uomo legandolo a una borsa di studio Bocconi.

Una borsa di studio: “la cosa giusta da fare”
Dario crede molto all’economia del dono, ossia fare qualcosa per gli altri non perché c’è un ritorno, ma per il piacere di farlo, per fare bene alla società. “L’imprenditore ha il dovere di portare un impatto positivo nella società nella quale opera, e quindi come Kaleyra abbiamo donato senza obiettivi di marketing, ma per pura corporate sustainability: questa era la cosa giusta da fare”, spiega.
Ma c’è anche un tema di emozioni, e tra queste anche il legame con la Bocconi.
“Alma Mater non a caso: io mi sono laureato con un gigante, il prof. Coda, con una tesi di ricerca che mi fece approdare in Olivetti. Alma Mater perché come ogni madre ti insegna la vita, e mi ha insegnato la multi-disciplinarietà – un valore in cui credo e che per primo inculco nei miei successori”, prosegue Dario.

Il futuro
Ma cosa direbbe Simone Fubini ai giovani che beneficeranno della borsa di studio in suo nome? 
“Studiate, esplorate, siate curiosi, andate in giro. Provate. Con questa borsa potrete farlo”, continua Dario. “Ma da vero torinese riservato, si schermirebbe e direbbe qualcosa come: “Ma dai, non ho fatto niente di speciale!” Questa era la sua statura morale, da intellettuale: dal suo punto di vista lui ha fatto cose normali. E per noi questa borsa di studio era la cosa normale da fare. La cosa giusta.”