14 lug 2021

Lo smartworking dopo il Covid

Lo scenario è chiaro: rimarrà, ma in formula ibrida, con la consapevolezza dell’importanza delle relazioni “in presenza”. Ce ne parla il Dean di SDA Bocconi Giuseppe Soda, con i pareri di alcuni nostri Alumni di PwC US e Italia e di Generali.

Il mondo si sta riorganizzando, e così anche quello del lavoro. Le esperienze sinora incamerate – che in realtà sono state quasi tutte di telelavoro puro – vanno giocoforza ripensate in ottica di un vero e proprio smartworking con politiche di welfare mirate. 
Tre dipendenti su quattro hanno dichiarato che in smartworking la produttività e aumentata (con una su tre che denuncia però la difficoltà a separare lavoro da vita privata); così come emerge che la formula ibrida sarà quella che avrà la meglio soprattutto nelle grandi aziende, con una media italiana di 2,7 giorni alla settimana da remoto (1,4 nella PA). Tirando le somme, un’indagine realizzata da Fondirigenti dice che il 54% delle aziende italiane è d’accordo per mantenere lo smartworking anche dopo l’emergenza – con i sindacati e i lavoratori all’opera per far sì che sia davvero smart.

Abbiamo intervistato tre nostri Alumni di due grandi realtà come PwC USA e Italia e Gruppo Generali, oltre al Dean di SDA Bocconi Giuseppe Soda, la cui ricerca accademica si focalizza sulle reti organizzative.
L’11 marzo 2020 è stato l’ultimo giorno in cui ho messo piede in ufficio”, dice Vito Coletta, Director Accounting Advisory PwC USA, che vive a New York dal 2010. “Ma da noi la transizione è stata fluida, poiché negli USA PwC USA aveva già iniziato a digitalizzare prima del Covid e lavoravamo da casa già due giorni a settimana. Oggi i nostri uffici sono aperti a capacità limitata: per esempio l’ufficio in Madison, che tiene 6000 persone, ora viaggia su una decina al massimo. E molte aziende qui a NY stanno cercando di riaffittare”, continua Vito, che della vita “di prima” sente nostalgia di vestirsi ogni tanto in giacca e cravatta e delle relazioni anche informali tra colleghi. Quel caffè, quel giro in corridoio, lo scambio di battute alla fotocopiatrice… è difficile compensarlo. Ma a dicembre ho avuto un figlio, e ora ho più tempo per la famiglia riuscendo a staccare di più durante la giornata”, continua. 

Ma cosa farà PwC USA in futuro? 
Abbiamo tre categorie di dipendenti: una parte che resterà in modalità virtuale fissa, una parte flex (ognuno decide quando andare in base alle necessità) e la più piccola è quella con la presenza fisica 4/5 giorni. Io sarò tra i flex, e non posso lamentarmi.
E se nessuna azienda dice espressamente che eliminerà la sede fisica, va da sé che i grandi spazi saranno ri-modulati per favorire l’interazione, la coesione e anche la creatività tra i team.

Il luogo di lavoro come luogo identitario 
I luoghi di lavori sono luoghi relazionali per eccellenza: il lavoro esecutivo, così come le decisioni, sono immerse in una rete invisibile di relazioni fatte di scambi di conoscenza, idee e sensazioni  senza le quali viene a mancare una parte fondamentale, meno routinaria e più innovativa del nostro lavoro. Pensiamo a un giovane neo assunto e alla perdita di quel tessuto relazionale, non scritto nei manuali organizzativi, che però è cruciale per una buona formazione on the job”, spiega Giuseppe Soda, Dean di SDA Bocconi School of Management. “Dopo una prima fase di novità del lavoro in remoto, è emerso in modo incontrovertibile che lavoro non sia solo un insieme di task ma un sistema complesso di interazioni e dinamiche che chiusi da soli a casa, in ciabatte e col gatto addormentato sulle ginocchia, viene a mancare. Questa frattura relazionale, solo in minima parte recuperata dalle piattaforme di collaborazione a distanza, produce effetti negativi non solo sulla capacità innovativa ma anche sul piano della partecipazione. La spazio di lavoro è anche un luogo identitario, un universo sociale fisicamente determinato che contribuisce alla creazione del senso di appartenenza e dell’identità di qualsiasi lavoratore”, continua Soda, che pur riconosce innegabili aspetti positivi, come la produttività immutata (almeno nel breve e secondo i pochi dati a disposizione) o le città che hanno respirato in termini di traffico e aria. Ma non solo, continua Soda: “l’interazione a distanza si caratterizza per una sua intrinseca flessibilità e un equilibrio meno dicotomico tra vita lavorativa e vita privata. La tecnologia ha creato uno spazio virtuale che prescinde dallo spazio fisico condiviso: il cloud è un non-luogo, e quindi posso farlo dalla barca o da casa e non cambia nulla”.

Dunque su cosa non si tornerà indietro? Sulla flessibilità, su una mobilità più intelligente più attento ad un uso, anche sostenibile, delle risorse e del tempo nelle trasferte. "Per esempio, dopo quasi due anni di riunioni e incontri a distanza ha ancora senso viaggiare per una giornata in una capitale europea o da Milano a Roma per una riunione di due ore? Si possono aprire nuove opportunità per far evolvere le relazioni di lavoro: più empowerment, più flessibilità di orario, un diverso modello di controllo manageriale, meno enfasi sullo sforzo e l’impegno lavorativo e più sui risultati.", conclude Soda.

Il nearworking e la scelta strategica di PwC Italia
Sulla stessa linea di Soda anche Andrea Toselli, Presidente e AD di PwC Italia, un’organizzazione con 24 sedi in Italia e circa 7.000 persone, età media 30 anni, molti proprio Alumni Bocconi: giovani con ambizioni professionali che lavorano molto, per i quali andare in ufficio è un momento importante della vita di relazione. La Torre PwC di Citylife a Milano supera i 33.000 metri quadrati per una capienza massima di 2800 persone che, a oggi, per le normative Covid, ne contiene circa la metà.  “Ma siamo a capienza piena per il consentito”, spiega Toselli, che racconta che si prenota la scrivania tramite un’app e ci si siede senza posto assegnato.
Lasciando per un attimo da parte i costi di manutenzione ad capita, il punto centrale è che il luogo di lavoro fisico è un’agorà, dove relazione e processo sono fondamentali”, continua Toselli, “e senza si perdono alcuni messaggi sottili, quelli che impari nei corridoio e fianco a fianco nelle scrivanie”, prosegue. “Ma questo è imprescindibile per il funzionamento di qualsiasi organizzazione, perché senza il confronto diretto, tante cose banali anziché andare a posto da sé – come fisiologicamente accade – spesso si incancreniscono”

Per PwC, dunque, lo spazio fisico è e resterà centrale. Le nostre persone sono tutte laureate – ne assumiamo 1500 all’anno crescendo con un saldo netto di 300 – e va da sé che per una realtà come la nostra lo smartworking funziona fino a un certo punto: sicuramente la tecnologia ci permette di contemperare meglio le giornate e di svolgere dei task one-off ricorrenti, come seguire digitalmente più progetti che prima necessitavano magari visite al cliente in tre giorni di lavoro fisici”, continua l’AD di PwC Italia. “Ma l’enorme limite sta nella crescita professionale: la nostra è una popolazione intellettualmente mobile e predisposta, e l’eliminazione totale della relazione professionale e informale può essere una limitazione all’evoluzione professionale."
Se è comunque difficile accomunare strategie di real estate di chi fa lavori diversi, PwC crede così tanto nel luogo fisico da aprire una sede a Monza.Lo abbiamo aperto nel marzo 2021, lo chiamiamo hub. Abbiamo fatto un ragionamento logico e logistico sulla ripresa delle attività in presenza, e abbiamo pensato che molti avrebbero preferito muoversi in auto e non coi mezzi, con il rovescio della medaglia del traffico. Allora abbiamo geolocalizzato i colleghi: un cluster enorme vive a nord di Milano. Perché farli venire a Milano in Torre? Perché aggiungergli almeno 45 minuti di traffico? Ecco che scatta il nearworking: un posto d’appoggio vicino a loro. E funziona. Le persone lo apprezzano”, conclude Toselli.

Restando a Milano, nella Torre accanto a quella di PwC, da azienda ad azienda si nota qualche differenza. Ce lo racconta Rosanna Foti, Senior Operational Risk Manager in Generali.L’azienda è stata reattiva e sin da febbraio 2020, nell’arco di due settimane, il 90% lavorava da casa. Questo perché lo smartworking era una pratica già presente e consolidata”
Quando necessario, i dispositivi informatici sono stati inviati direttamente a casa per evitare di far spostare i dipendenti. A pieno regime, la Torre a Citylife ha una capienza di 1800 persone con una media di 50 a piano.Oggi ci sono massimo dieci persone a piano, le caratteristiche dell’edificio impongono l’uso degli ascensori che in fase pandemica rappresentano un rischio potenziale. Ancora oggi la regola è lavorare da casa, ma in caso di necessità è possibile accedere all’ufficio e incontrare i colleghi previa autorizzazione del responsabile”, continua Foti. “A mio avviso lo smartworking è un’opzione win win, anche per l’azienda: se hai un banale raffreddore che prima non ti consentiva di uscire di casa, ora puoi decidere di lavorare stando comodamente tra le mura di casa, e credo che si innescherà anche una flessibilità mentale sul tempo impiegato in ufficio, che potrà essere ottimizzato sulla base delle nuove esigenze. Nei giorni in cui lavorerai in Torre, potrai concentrare tutti i meeting che richiedono la presenza fisica (es. lancio di nuovi progetti), per proseguire in modo smart da casa sul resto, valorizzando la pianificazione e la progettualità personale”, conclude Foti.

Gli irriducibili dello smartworking
Nella vasta platea di opinioni, ci sono quelli che piuttosto che tornare in ufficio si faranno addirittura licenziare. Un caso celebre è quello di Apple, dove un nutrito gruppo di lavoratori che non vuole sentirsi “legato”, ha scritto una lettera aperta a Tim Cook, adducendo motivazioni varie e legittime, come riporta bloomberg.com: ho meno stress/miglior rapporto con la famiglia/risparmio tempo nel commuting e sono più produttivo. 
Come andranno le cose lo dirà solo il tempo; senz’altro oggi il processo innescato è irreversibile e lo scenario che si prospetta in tutto il mondo è talmente innovativo che ci permette di assistere in pochi mesi a un fenomeno di riorganizzazione nei modelli di lavoro che, in altre condizioni, si sarebbe verificato in anni.